giovedì 14 aprile 2011


Ciao a tutti,
vorrei condividere con voi uno degli ultimi progetti che ho promosso per la Circoscrizione IX.
Da un concorso scolastico "IL QUARTIERE E’ LA TUA CASA, PRENDITI CURA DI LUI!" sul tema degli spazi pubblici ed il loro rispetto, troverete nei prossimi giorni dei manifesti per tutta la circoscrizione. Questi manifesti nascono dal disegno creato dalla classe vincitrice del concorso. Ringrazio gli studenti per la loro partecipazione e creatività.
Speriamo di sensibilizzare tutti (grandi e piccini) al rispetto delle nostre strade, delle aree verdi, dei giochi nei nostri quartieri, proprio come se si trattasse di casa nostra, così da avere una migliore vivibilità e convinvenza in quartiere.

A presto
Monica Rossi

lunedì 21 febbraio 2011

3375

3375 sono i bambini in età scolare (tra i 6 e 14 anni) raggiunti negli anni 2006-2011(in media 670 bambini ogni anno) attraverso i percorsi di educazione ambientale nella Circoscrizione 9.
In questi anni abbiamo supportato le scuole nei loro programmi scolastici, affiancandoli con i progetti di educazione ambientale su alcuni temi, ormai sempre più all’ordine del giorno: il risparmio idrico, la comprensione dell’impatto dei nostri consumi e degli acquisti quotidiani per un consumo consapevole, il risparmio energetico e le nuove energie alternative.
Attraverso racconti, giochi di ruolo, diretto coinvolgimento dei bambini nell’analisi del proprio quotidiano e costruzione di piccoli manufatti, abbiamo superato le lezioni frontali su tematiche complesse ed aiutato a creare un bagaglio linguistico e culturale per gli adulti di domani affinché imparassero ad essere consapevoli delle loro azioni e dei loro gesti quotidiani (l’acqua aperta mentre ci si lava i denti, la luce accesa nelle stanze dove non serve, ecc.), apprendessero nuove piccole pratiche ecologiche e le “esportassero” a casa, nelle loro famiglie.
Perché è dai bambini e dai ragazzi che si può partire per educare fin dall’infanzia e aprire una breccia nel cuore, nella pancia e nella testa degli adulti spesso assuefatti all’individualismo estremo (“cosa ne viene a me?”); abituati a volte –purtroppo- ad analisi superficiali, schiacciati dai ritmi del nostro tempo come scusa per non fare attenzione alla questione ambientale e/o per non prendersi il proprio piccolo pezzo di responsabilità nella cura del quartiere in cui viviamo (pensate a tutti quei cittadini che hanno dovuto re-imparare a fare la raccolta differenziata per adattarsi al “porta a porta” e che tra le tante lamentele, non si sono resi conto che grazie al loro sforzo nel modificare le proprie abitudini, il livello di differenziata è arrivato in molte zone dal 32% al 60%!). C’è ancora tanta strada da fare.
Oggi stiamo cercando di fare un ulteriore passo in avanti, attraverso una campagna di sensibilizzazione per la cura degli spazi comuni: un concorso scolastico intitolato “il quartiere è la tua casa, prenditi cura di lui”. Contro la disattenzione, il vandalismo, i comportamenti incivili, che vanno dalla cicca per terra, allo sfascio di un gioco bimbi, alle deiezioni canine sui marciapiedi, ai sacchetti dei rifiuti abbandonati. L’idea è di coinvolgere gli allievi delle scuole primarie e secondarie di primo grado attraverso la loro schiettezza e creatività per arrivare agli adulti tramite dei manifesti creati dagli elaborati dei ragazzi. Tappezzeremo la Circoscrizione con i loro messaggi su come vorrebbero le loro strade, i loro giardini e gli spazi pubblici in generale, ricordando a tutti noi che: IL QUARTIERE E’ CASA NOSTRA, QUINDI PRENDIAMOCI CURA DI LUI.

sabato 29 gennaio 2011


Ciao a tutti
Qui di seguito le 5 priorità di Torino Bene Comune per la Circoscrizione 9.

Che ne dite? Abbiamo dimenticato qualcosa? Dove possiamo migliorare?



http://torinobenecomune.it/comitati/145-nizza-lingotto-filadelfia-circoscrizione-9-5-priorita.html

martedì 11 gennaio 2011

Un pò di pudore

Una volta c’erano le relazioni industriali, c’erano gi imprenditori che facevano i propri interessi, ma che erano orgogliosi di far crescere il proprio Paese e creare ricchezza non solo per sé ma anche per i cittadini e avevano rispetto per i propri lavoratori. C’erano i sindacati che difendevano i lavoratori, a volte con troppa radicalità, ma il più delle volte in linea con i “ruoli” che ciascuno doveva rivestire nella negoziazione: lottare, fare proposte alternative, alzare l’asticella dei diritti e delle tutele sul lavoro e a volte l’accettazione di alcuni compromessi perché nelle negoziazioni si è in 2 a discutere. E le parti terze, coperte dal Governo, davano la copertura e l’assicurazione politica che i contratti collettivi erano il risultato migliore per tutti nelle condizioni date.
Oggi c’è uno amministratore delegato che si comporta da PADRONE, di quelli che nei secoli passati avevano diritto di vita e di morte sui suoi servi della gleba. C’è un industriale che non si preoccupa neanche più delle correttezze istituzionali e di relazione con le controparti. Non c’è più il pudore di nascondere i propri interessi personali e aziendali quando sono in conflitto con il benessere (economico, fisico e psichico, ma anche sociale) dei suoi lavoratori. Non c’è vergogna nel dire: l’azienda è mia, non è più italiana, ma è globale per cui posso andare dove mi porta il vento (e il vento mi porta dove guadagno di più e spendo di meno: poche tasse, tanto lavoro e poco pagato e poco protetto, pochi controlli statali su fisco e sicurezza sul lavoro) salvo poi chiedere alla “madre patria” fondi e incentivi, così com’è stato per decenni a carico dei contribuenti italiani.
Il mondo alla rovescia: l’industriale non ha pudore a sbandierare la sua smisurata ricchezza e a chiedere che i sacrifici li facciano i suoi lavoratori. E i lavoratori che non possono più far sentire la propria voce democraticamente e come dovrebbe essere in un Paese civile perché visti come privilegiati in un sistema-lavoro sempre più precarizzato.Non può essere che l’operaio di Mirafiori sia oggi percepito e additato come un privilegiato perché ha diritti e tutele che i nostri padri e fratelli (e madri e sorelle) hanno lottato per farci avere. Certo nel nuovo millennio c’è la globalizzazione. Ma non è che se il mondo in via di sviluppo ha costo del lavoro basso e poche o nessuna tutela, allora anche il mondo occidentale si deve adeguare a ribasso come unica possibilità per tornare competitivo. La competitività si ottiene con prodotti nuovi, tecnologicamente ed ecologicamente avanzati e, dove necessario, convertendo le vecchie industrie in nuove aziende (si pensi alle energie alternative).
E poi c’è chi dice che c’è ben altro: le false partite iva, i precari a vita, oppure i rumeni, i polacchi, i cinesi e gli indiani. Ma non è che gli italiani devono diventare un po’ più “cinesi”, ma i cinesi un po’ più italiani, ovviamente non nel senso culturale ma nel senso dei diritti civili. I diritti vanno esportati e non solo i capitali. E se ci sono pseudo operazioni internazionali di pace per esportare la democrazia, perché non creare un grande piano di politica internazionale che esporti i diritti di cittadinanza e che lotti per regole globali sulla delocalizzazione delle aziende? e che ci siano dei controlli veri affinché non ci siano abusi e sotterfugi per governi di paesi in via di sviluppo, non sempre trasparenti e democratici, di permettere esenzioni fiscali, spazi e assenza di tutele che in nessun paese occidentale sarebbe possibile? Altrimenti si tratta di concorrenza sleale e sarà sempre così perché sempre ci saranno paesi più arretrati e/o mercati non saturi da occupare al minor costo e al massimo guadagno, a scapito di qualcuno.
Ma per tutto questo ci vorrebbe un sindacato forte, che tutelasse i lavoratori e non facesse il fantoccio aziendalista, ma anche che avesse l’onestà intellettuale di fare autocritica e di iniziare a colpire chi abusa di certi diritti a danno delle persone corrette (gli assenteisti, quelli del doppio lavoro, etc.), un sindacato che, se ci fosse una politica forte, non fosse troppo politicizzato (anche se in parte lo sarà sempre perché il lavoro, le politiche industriali, la crescita economica sono politica).
Ed ecco la 3a parte della vecchia concertazione che è mancata: un’assenza assordante quella del Governo Berlusconi. Evidentemente andava bene così: fare la riforma del mercato del lavoro senza passare dal Parlamento, senza passare da discussione e condivisione con Confindustria e Sindacati Confederali, ma a colpi di contratti separati e con clausole “prendere o lasciare” e “ad excludendum” , dove la deroga diventa la regola. Ed un’opposizione parlamentare divisa tra i “ma anche” e voli pindarici su presunti riformismi per paura di dire qualcosa di sinistra ….
Se chiederai ad un operaio di votare con il seguente assunto: diventa più “orientale” nei tuoi NON diritti, altrimenti ce ne andiamo in Serbia, egli voterà sì, senza aver scelto liberamente perché ha bisogno di lavorare e portare a casa uno straccio di stipendio, comunque sia. E se nessuno lo difende a priori e a valle, lui sarà sempre più solo di fronte a finti referendum-ricatto, lettere di assunzione con annesse dimissioni in bianco, da accettare o perdere il lavoro…
Dovrebbe essere vietato mettere in discussione i diritti ottenuti con tanti anni di lotta, diritti simbolo della modernità e della civiltà nella vita delle persone che oggi vengono spacciati per conservatorismo, privilegio ed incapacità di crescere nel mondo globalizzato. Ci vorrebbe un divieto come quello del codice penale che vieta di vendere un proprio organo (tipo il rene) per motivi economici, al scopo di proteggere chi è in difficoltà economiche contro le iene disposte a spendere del denaro per comprarsi un rene a scapito della salute di un altro essere umano.
Oggi è moderato parlare di moralità, umiltà, rispetto e dignità mentre è estremista chi è arrogante, spudorato, amorale ed immorale nei suoi affari e nelle sue libertà che dovrebbero finire dove comincia la mia.

lunedì 6 dicembre 2010

TORINO BENE COMUNE

Finalmente è disponibile una piattaforma dove poter lasciare commenti e pensieri sulla città che vogliamo.
Una wikipedia per scrivere il programma della sinistra torinese in vista del prossimo appuntamento elettorale. Una piattaforma, sotto il cappello «Torino bene comune», con cinque priorità, per permettere a tutti di aggiungere idee e proposte a getto continuo, al di fuori dei convegni o dei comitati fatti ad uso e consumo dei partiti e dei ceti politici.

Torinobenecomune.it è uno strumento che non ha copyright. E' un modo per disegnare insieme della città che vogliamo, per portare la discussione sul candidato sindaco e sul programma al di fuori dalle segreterie e dalle pagine dei giornali.

E’ importante che la sinistra torinese rivendichi quanto di buono fatto in questi anni dall’amministrazione di centrosinistra, ma anche che sappia rilanciare un’azione amministrativa capace di coniugare passione e responsabilità, giustizia sociale ed inclusione, difesa dell’ambiente e sviluppo, laicità e diritti.

Una forte apertura alla partecipazione ed al coinvolgimento delle persone è necessaria come l’ossigeno, per superare il senso di isolamento che paralizza la politica, anche a sinistra.


Partecipate e lasciate un commento.

http://torinobenecomune.it/?Name=Value

Con Affetto
Monica

lunedì 29 novembre 2010

Elenco delle cose di cui siamo fatti... noi Italiani

Elenco delle cose di cui siamo fatti ... da Vieni via con me 29Nov10



QUI IL VIDEO:

http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-f12fd94f-3171-487d-9eb8-d6817b3b8332.html#p=0

1. La lettera 22 di Indro Montanelli
2. La chitarra di Fabrizio De Andrè
3. Il cestino di piazza della Loggia a Brescia
4. Il megafono di Federico Fellini
5. La pipa di Luciano Lama
6. La borsa di Massimo D’Antona
7. La 500 di Luigi Calabresi
8. Gli occhiali spessi di Vittorio Foa
9. Il camice di Umberto Veronesi
10. L’ orologio della stazione di Bologna
11. Il microfono di Luigi Tenco
12. Il sorriso di Enrico Berlinguer
13. Gli scarpini di Roberto Baggio
14. La tonaca di don Lorenzo Milani
15. La bicicletta di Marco Biagi
16. La barba di Tiziano Terzani
17. Gli occhiali scuri di Pier Paolo Pasolini
18. L’aereo di Ustica
19. La spilla di Rita Levi Montalcini
20. Gli occhialini tondi di Alcide De Gasperi
21. La coppa del mondo del 1982
22. La costituzione italiana
23. Il ciak di Sergio Leone
24. Il pianoforte di Maurizio Pollini
25. Il taccuino di Ilaria Alpi
26. Il cappello di Luciano Pavarotti
27. Le pipe di Sandro Pertini e Enzo Bearzot
28. Le mani di Walter Bonatti
29. La Roma di Anna Magnani
30. L’Alfa Romeo di Tazio Nuvolari
31. Le mani di Eugenio Montale
32. La borraccia di Coppi e Bartali
33. Lo sguardo di Marcello Mastroianni
34. La sigaretta Alda Merini
35. Il papillon di Luigi Pirandello
36. La luna di Papa Giovanni
37. Gli occhi di Sofia Loren
38. La bombetta di Totò
39. La fascia di Anna Maria Ortese
40. Le rughe di Italo Calvino
41. I macaroni di Alberto Sordi
42. Gli occhiali di Enzo Ferrari
43. Il caffè di Eduardo De Filippo
44. Le sopraciglia di Alberto Moravia
45. La malinconia di Aldo Moro
46. La grazia di Roberto Benigni
47. La voce di Vittorio De Sica
48. La mehari di Giancarlo Siani
49. Il dolore di Primo Levi
50. La sciarpa di Walter Tobagi

giovedì 25 novembre 2010

Appello "Ripartiamo da noi"


A Torino, si dice, è finito un ciclo. Politico, sociale, economico. Gli anni ’90 hanno affrontato la sfida di una città in declino industriale, attraversata da giganteschi vuoti urbani lasciati dalla scomparsa di quelle fabbriche che avevano segnato la storia industriale del ‘900 italiano.
Allora la crisi della città fordista avveniva in concomitanza della crisi più difficile del sistema politico nazionale.
Il cambio di passo è stato dovuto, anche, alla capacità della classe politica locale di interpretarla e cambiando e coinvolgendo forme inedite di partecipazione politica.
Torino è stata una città che in questi 18 anni si è ripensata nello scenario italiano ed europeo. La classe dirigente – politica, culturale, imprenditoriale e sociale – ha saputo interpretare questa sfida mettendo in campo strumenti e iniziative: il nuovo piano regolatore, la trasformazione urbanistica, l’investimento nella modernizzazione del lavoro e dei servizi, gli appuntamenti internazionali come le Olimpiadi Invernali del 2006, la riqualificazione delle periferie e dei quartieri popolari, la mobilità sostenibile, la qualità dei servizi educativi e culturali, il rigore di bilancio.
Torino è cambiata perché ha saputo investire nell’hardware, nel suo patrimonio sociale e culturale, nella trasformazione, nella scommessa collettiva, nei processi di coesione sociale e cittadinanza attiva.
Si poteva fare di più, si poteva fare meglio: a nessuno sfugge però che la qualità delle politiche pubbliche ha comunque segnato una strada di cui essere orgogliosi e consapevoli. Il pragmatismo, la ricerca di soluzioni, l’efficienza amministrativa, il caparbio lavoro di tutti hanno avuto due interpreti formidabili: Valentino Castellani prima e, dal 2001, Sergio Chiamparino, che ha saputo coniugare carisma personale e concretezza amministrativa.
Oggi è finito un ciclo: aumentano i bisogni della città, sociali ed economici, si fanno più complesse e più frammentate le istanze collettive e diminuiscono le risorse. Gli investimenti nazionali ed europei per le grandi trasformazioni sono pressoché esauriti. I processi produttivi e lo scenario globale pesano e lasciano a terra lavoratori, famiglie, giovani, anziani.
Non c’è un “punto zero” da cui ripartire: questo scenario ha già pesantemente influenzato gli ultimi anni di amministrazione, durante i quali si sono fatte scelte “socialmente sostenibili” nell’individuare le risorse e il ripensamento di servizi e progetti. Si è scelto di mantenere alto il livello del Welfare e dei servizi, a fronte di una diminuzione dell’attenzione e degli investimenti nazionali.
Ci si è inventati strumenti amministrativi, politiche pubbliche innovative, modalità inedite di relazione con i territori, con il Terzo settore, con le forze economiche e produttive della città.
Si è cercato di tenere insieme la città, di prevenire i conflitti e i problemi, di accompagnare la trasformazione e il cambiamento.
Si è provato a tenere insieme i bi-sogni, i sogni,le ansie, la precarietà che sono lo sfondo dello scenario globale ed entrano nelle case delle persone, nelle loro relazioni, nei loro progetti di futuro.
Questo è stato possibile perché Torino ha un capitale sociale straordinario fatto di cittadini, di forze organizzate, di pensiero collettivo, di luoghi di discussione e di riflessione.
E’ stato possibile anche perché ci sono state persone, uomini e donne, che si sono messe in gioco: amministratori pubblici, nella Giunta e in Consiglio Comunale, nelle Circoscrizioni e nei Quartieri.
Una generazione di “artigiani” della politica che hanno cercato, con onestà innanzitutto intellettuale, di fare il loro meglio e di contribuire al benessere collettivo. Una generazione di amministratori che, vivendo le urgenze del proprio tempo, si è messa in gioco per traghettare la città verso nuovi scenari.
Oggi è indispensabile rilanciare il progetto di Torino per i prossimi decenni.
A nessuno sfugge l’urgenza di guardare lungo e di agire corto, di avere visioni di futuro e la pragmaticità di fare i conti con le risorse.
Quello che Torino si merita è ripartire anche da qui, valorizzando l’immenso patrimonio di buone pratiche amministrative e politiche, di innovazione e di contributi che costituiscono quello che in giro per l’Italia chiamano “il modello Torino” e che, con understandement sabaudo, qui chiamiamo “abbiamo fatto solo il nostro dovere”-