lunedì 29 novembre 2010

Elenco delle cose di cui siamo fatti... noi Italiani

Elenco delle cose di cui siamo fatti ... da Vieni via con me 29Nov10



QUI IL VIDEO:

http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-f12fd94f-3171-487d-9eb8-d6817b3b8332.html#p=0

1. La lettera 22 di Indro Montanelli
2. La chitarra di Fabrizio De Andrè
3. Il cestino di piazza della Loggia a Brescia
4. Il megafono di Federico Fellini
5. La pipa di Luciano Lama
6. La borsa di Massimo D’Antona
7. La 500 di Luigi Calabresi
8. Gli occhiali spessi di Vittorio Foa
9. Il camice di Umberto Veronesi
10. L’ orologio della stazione di Bologna
11. Il microfono di Luigi Tenco
12. Il sorriso di Enrico Berlinguer
13. Gli scarpini di Roberto Baggio
14. La tonaca di don Lorenzo Milani
15. La bicicletta di Marco Biagi
16. La barba di Tiziano Terzani
17. Gli occhiali scuri di Pier Paolo Pasolini
18. L’aereo di Ustica
19. La spilla di Rita Levi Montalcini
20. Gli occhialini tondi di Alcide De Gasperi
21. La coppa del mondo del 1982
22. La costituzione italiana
23. Il ciak di Sergio Leone
24. Il pianoforte di Maurizio Pollini
25. Il taccuino di Ilaria Alpi
26. Il cappello di Luciano Pavarotti
27. Le pipe di Sandro Pertini e Enzo Bearzot
28. Le mani di Walter Bonatti
29. La Roma di Anna Magnani
30. L’Alfa Romeo di Tazio Nuvolari
31. Le mani di Eugenio Montale
32. La borraccia di Coppi e Bartali
33. Lo sguardo di Marcello Mastroianni
34. La sigaretta Alda Merini
35. Il papillon di Luigi Pirandello
36. La luna di Papa Giovanni
37. Gli occhi di Sofia Loren
38. La bombetta di Totò
39. La fascia di Anna Maria Ortese
40. Le rughe di Italo Calvino
41. I macaroni di Alberto Sordi
42. Gli occhiali di Enzo Ferrari
43. Il caffè di Eduardo De Filippo
44. Le sopraciglia di Alberto Moravia
45. La malinconia di Aldo Moro
46. La grazia di Roberto Benigni
47. La voce di Vittorio De Sica
48. La mehari di Giancarlo Siani
49. Il dolore di Primo Levi
50. La sciarpa di Walter Tobagi

giovedì 25 novembre 2010

Appello "Ripartiamo da noi"


A Torino, si dice, è finito un ciclo. Politico, sociale, economico. Gli anni ’90 hanno affrontato la sfida di una città in declino industriale, attraversata da giganteschi vuoti urbani lasciati dalla scomparsa di quelle fabbriche che avevano segnato la storia industriale del ‘900 italiano.
Allora la crisi della città fordista avveniva in concomitanza della crisi più difficile del sistema politico nazionale.
Il cambio di passo è stato dovuto, anche, alla capacità della classe politica locale di interpretarla e cambiando e coinvolgendo forme inedite di partecipazione politica.
Torino è stata una città che in questi 18 anni si è ripensata nello scenario italiano ed europeo. La classe dirigente – politica, culturale, imprenditoriale e sociale – ha saputo interpretare questa sfida mettendo in campo strumenti e iniziative: il nuovo piano regolatore, la trasformazione urbanistica, l’investimento nella modernizzazione del lavoro e dei servizi, gli appuntamenti internazionali come le Olimpiadi Invernali del 2006, la riqualificazione delle periferie e dei quartieri popolari, la mobilità sostenibile, la qualità dei servizi educativi e culturali, il rigore di bilancio.
Torino è cambiata perché ha saputo investire nell’hardware, nel suo patrimonio sociale e culturale, nella trasformazione, nella scommessa collettiva, nei processi di coesione sociale e cittadinanza attiva.
Si poteva fare di più, si poteva fare meglio: a nessuno sfugge però che la qualità delle politiche pubbliche ha comunque segnato una strada di cui essere orgogliosi e consapevoli. Il pragmatismo, la ricerca di soluzioni, l’efficienza amministrativa, il caparbio lavoro di tutti hanno avuto due interpreti formidabili: Valentino Castellani prima e, dal 2001, Sergio Chiamparino, che ha saputo coniugare carisma personale e concretezza amministrativa.
Oggi è finito un ciclo: aumentano i bisogni della città, sociali ed economici, si fanno più complesse e più frammentate le istanze collettive e diminuiscono le risorse. Gli investimenti nazionali ed europei per le grandi trasformazioni sono pressoché esauriti. I processi produttivi e lo scenario globale pesano e lasciano a terra lavoratori, famiglie, giovani, anziani.
Non c’è un “punto zero” da cui ripartire: questo scenario ha già pesantemente influenzato gli ultimi anni di amministrazione, durante i quali si sono fatte scelte “socialmente sostenibili” nell’individuare le risorse e il ripensamento di servizi e progetti. Si è scelto di mantenere alto il livello del Welfare e dei servizi, a fronte di una diminuzione dell’attenzione e degli investimenti nazionali.
Ci si è inventati strumenti amministrativi, politiche pubbliche innovative, modalità inedite di relazione con i territori, con il Terzo settore, con le forze economiche e produttive della città.
Si è cercato di tenere insieme la città, di prevenire i conflitti e i problemi, di accompagnare la trasformazione e il cambiamento.
Si è provato a tenere insieme i bi-sogni, i sogni,le ansie, la precarietà che sono lo sfondo dello scenario globale ed entrano nelle case delle persone, nelle loro relazioni, nei loro progetti di futuro.
Questo è stato possibile perché Torino ha un capitale sociale straordinario fatto di cittadini, di forze organizzate, di pensiero collettivo, di luoghi di discussione e di riflessione.
E’ stato possibile anche perché ci sono state persone, uomini e donne, che si sono messe in gioco: amministratori pubblici, nella Giunta e in Consiglio Comunale, nelle Circoscrizioni e nei Quartieri.
Una generazione di “artigiani” della politica che hanno cercato, con onestà innanzitutto intellettuale, di fare il loro meglio e di contribuire al benessere collettivo. Una generazione di amministratori che, vivendo le urgenze del proprio tempo, si è messa in gioco per traghettare la città verso nuovi scenari.
Oggi è indispensabile rilanciare il progetto di Torino per i prossimi decenni.
A nessuno sfugge l’urgenza di guardare lungo e di agire corto, di avere visioni di futuro e la pragmaticità di fare i conti con le risorse.
Quello che Torino si merita è ripartire anche da qui, valorizzando l’immenso patrimonio di buone pratiche amministrative e politiche, di innovazione e di contributi che costituiscono quello che in giro per l’Italia chiamano “il modello Torino” e che, con understandement sabaudo, qui chiamiamo “abbiamo fatto solo il nostro dovere”-