martedì 11 gennaio 2011

Un pò di pudore

Una volta c’erano le relazioni industriali, c’erano gi imprenditori che facevano i propri interessi, ma che erano orgogliosi di far crescere il proprio Paese e creare ricchezza non solo per sé ma anche per i cittadini e avevano rispetto per i propri lavoratori. C’erano i sindacati che difendevano i lavoratori, a volte con troppa radicalità, ma il più delle volte in linea con i “ruoli” che ciascuno doveva rivestire nella negoziazione: lottare, fare proposte alternative, alzare l’asticella dei diritti e delle tutele sul lavoro e a volte l’accettazione di alcuni compromessi perché nelle negoziazioni si è in 2 a discutere. E le parti terze, coperte dal Governo, davano la copertura e l’assicurazione politica che i contratti collettivi erano il risultato migliore per tutti nelle condizioni date.
Oggi c’è uno amministratore delegato che si comporta da PADRONE, di quelli che nei secoli passati avevano diritto di vita e di morte sui suoi servi della gleba. C’è un industriale che non si preoccupa neanche più delle correttezze istituzionali e di relazione con le controparti. Non c’è più il pudore di nascondere i propri interessi personali e aziendali quando sono in conflitto con il benessere (economico, fisico e psichico, ma anche sociale) dei suoi lavoratori. Non c’è vergogna nel dire: l’azienda è mia, non è più italiana, ma è globale per cui posso andare dove mi porta il vento (e il vento mi porta dove guadagno di più e spendo di meno: poche tasse, tanto lavoro e poco pagato e poco protetto, pochi controlli statali su fisco e sicurezza sul lavoro) salvo poi chiedere alla “madre patria” fondi e incentivi, così com’è stato per decenni a carico dei contribuenti italiani.
Il mondo alla rovescia: l’industriale non ha pudore a sbandierare la sua smisurata ricchezza e a chiedere che i sacrifici li facciano i suoi lavoratori. E i lavoratori che non possono più far sentire la propria voce democraticamente e come dovrebbe essere in un Paese civile perché visti come privilegiati in un sistema-lavoro sempre più precarizzato.Non può essere che l’operaio di Mirafiori sia oggi percepito e additato come un privilegiato perché ha diritti e tutele che i nostri padri e fratelli (e madri e sorelle) hanno lottato per farci avere. Certo nel nuovo millennio c’è la globalizzazione. Ma non è che se il mondo in via di sviluppo ha costo del lavoro basso e poche o nessuna tutela, allora anche il mondo occidentale si deve adeguare a ribasso come unica possibilità per tornare competitivo. La competitività si ottiene con prodotti nuovi, tecnologicamente ed ecologicamente avanzati e, dove necessario, convertendo le vecchie industrie in nuove aziende (si pensi alle energie alternative).
E poi c’è chi dice che c’è ben altro: le false partite iva, i precari a vita, oppure i rumeni, i polacchi, i cinesi e gli indiani. Ma non è che gli italiani devono diventare un po’ più “cinesi”, ma i cinesi un po’ più italiani, ovviamente non nel senso culturale ma nel senso dei diritti civili. I diritti vanno esportati e non solo i capitali. E se ci sono pseudo operazioni internazionali di pace per esportare la democrazia, perché non creare un grande piano di politica internazionale che esporti i diritti di cittadinanza e che lotti per regole globali sulla delocalizzazione delle aziende? e che ci siano dei controlli veri affinché non ci siano abusi e sotterfugi per governi di paesi in via di sviluppo, non sempre trasparenti e democratici, di permettere esenzioni fiscali, spazi e assenza di tutele che in nessun paese occidentale sarebbe possibile? Altrimenti si tratta di concorrenza sleale e sarà sempre così perché sempre ci saranno paesi più arretrati e/o mercati non saturi da occupare al minor costo e al massimo guadagno, a scapito di qualcuno.
Ma per tutto questo ci vorrebbe un sindacato forte, che tutelasse i lavoratori e non facesse il fantoccio aziendalista, ma anche che avesse l’onestà intellettuale di fare autocritica e di iniziare a colpire chi abusa di certi diritti a danno delle persone corrette (gli assenteisti, quelli del doppio lavoro, etc.), un sindacato che, se ci fosse una politica forte, non fosse troppo politicizzato (anche se in parte lo sarà sempre perché il lavoro, le politiche industriali, la crescita economica sono politica).
Ed ecco la 3a parte della vecchia concertazione che è mancata: un’assenza assordante quella del Governo Berlusconi. Evidentemente andava bene così: fare la riforma del mercato del lavoro senza passare dal Parlamento, senza passare da discussione e condivisione con Confindustria e Sindacati Confederali, ma a colpi di contratti separati e con clausole “prendere o lasciare” e “ad excludendum” , dove la deroga diventa la regola. Ed un’opposizione parlamentare divisa tra i “ma anche” e voli pindarici su presunti riformismi per paura di dire qualcosa di sinistra ….
Se chiederai ad un operaio di votare con il seguente assunto: diventa più “orientale” nei tuoi NON diritti, altrimenti ce ne andiamo in Serbia, egli voterà sì, senza aver scelto liberamente perché ha bisogno di lavorare e portare a casa uno straccio di stipendio, comunque sia. E se nessuno lo difende a priori e a valle, lui sarà sempre più solo di fronte a finti referendum-ricatto, lettere di assunzione con annesse dimissioni in bianco, da accettare o perdere il lavoro…
Dovrebbe essere vietato mettere in discussione i diritti ottenuti con tanti anni di lotta, diritti simbolo della modernità e della civiltà nella vita delle persone che oggi vengono spacciati per conservatorismo, privilegio ed incapacità di crescere nel mondo globalizzato. Ci vorrebbe un divieto come quello del codice penale che vieta di vendere un proprio organo (tipo il rene) per motivi economici, al scopo di proteggere chi è in difficoltà economiche contro le iene disposte a spendere del denaro per comprarsi un rene a scapito della salute di un altro essere umano.
Oggi è moderato parlare di moralità, umiltà, rispetto e dignità mentre è estremista chi è arrogante, spudorato, amorale ed immorale nei suoi affari e nelle sue libertà che dovrebbero finire dove comincia la mia.

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